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    Beta talassemia, primo trial clinico di una terapia genica su pazienti pediatrici

    Su Nature Medicine: coinvolti S.Raffaele, Policlinico Milano e Fondazione Telethon

    di Redazione Open Innovation | 22/01/2019

Settemila pazienti solo in Italia: questi i numeri di chi può guardare ora con speranza allo studio che illustra una possibile strategia di cura efficace, basata su una terapia genica, per la beta talassemia, malattia genetica molto diffusa nell’area mediterranea.

I risultati incoraggianti arrivano dal primo trial clinico di terapia genica per la beta talassemia, frutto di oltre dieci anni di lavoro del gruppo di ricerca della professoressa Giuliana Ferrari dell’Università Vita-Salute San Raffaele e realizzato per la prima volta anche su pazienti pediatrici all’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica, grazie all’alleanza tra IRCCS Ospedale San Raffaele, Fondazione Telethon e Orchard Therapeutics.

 

Cos’è la beta talassemia

La beta talassemia è una malattia genetica del sangue, causata da una mutazione del gene che codifica per la beta-globina, una proteina fondamentale per il funzionamento dei globuli rossi e in particolare per il trasporto dell’ossigeno. Esistono oltre 300 mutazioni note di questo gene, che possono dare origine a forme di beta talassemia di diversa gravità: in quelle più gravi che vedono una quasi totale assenza della proteina nel sangue dei pazienti comportano per loro la necessità di frequenti trasfusioni, con una riduzione drammatica della qualità della vita, se non addirittura quella di un trapianto di midollo osseo da donatore.

 

Obiettivo: l’indipendenza dalle trasfusioni

Il protocollo messo a punto parte dalla raccolta delle cellule staminali dal sangue periferico dei pazienti. Per ristabilire il corretto funzionamento di queste cellule e dei globuli rossi in cui possono differenziarsi, i ricercatori hanno inserito al loro interno una copia funzionante del gene della beta-globina, utilizzando i cosiddetti vettori lentivirali (virus della stessa famiglia dell’HIV, svuotati del loro contenuto infettivo e trasformati in veri e propri mezzi di trasporto per la terapia). Le cellule staminali corrette sono state re-infuse nei pazienti direttamente nelle ossa, così da favorire il loro attecchimento nel midollo.

Lo studio ha coinvolto 9 soggetti di diversa età – 3 adulti sopra i trent’anni, 3 adolescenti e 3 bambini sotto i sei anni di età – tutti con forme di beta talassemia gravi, tali da renderli trasfusione dipendenti. I ricercatori hanno utilizzato una tecnica di terapia genica simile a quella già impiegata all’SR-Tiget per altre malattie rare del sangue.

A distanza di oltre un anno dal trattamento (i soggetti adulti sono stati trattati per primi, ormai quasi 3 anni fa) la terapia risulta sicura ed efficace: in 3 dei 4 pazienti più giovani con un follow-up sufficiente per la valutazione si è raggiunta la totale indipendenza dalle trasfusioni di sangue, mentre nei tre pazienti adulti si è ottenuta una significativa riduzione della loro frequenza. Solo uno dei bambini trattati non ha riportato effetti positivi sul decorso della malattia e i ricercatori stanno ora cercando di capirne il motivo.

 

Gli attori coinvolti

Lo studio, pubblicato su Nature Medicine, è stato condotto grazie alla sinergia tra ricercatori di base e clinici, e in collaborazione tra l’Unità Operativa di Immunoematologia Pediatrica e quella di Ematologia e Trapianto di Midollo dell’Ospedale San Raffaele, dirette rispettivamente da Alessandro Aiuti e Fabio Ciceri, insieme al Centro malattie rare di Maria Domenica Cappellini del Policlinico di Milano. Il tutto con la partecipazione di altri centri italiani esperti di talassemia e con la collaborazione delle associazioni dei pazienti.

“È la prima volta che la terapia genica per la beta talassemia viene utilizzata in pazienti pediatrici. I risultati raccolti fino a ora dimostrano non solo la sua sicurezza in questo contesto, ma anche la sua maggiore efficacia - spiega Giuliana Ferrari -. Dal momento che la malattia compromette in modo progressivo l’integrità del midollo osseo, intervenire in giovane età permette di ottenere risultati migliori». Altro elemento chiave è l’efficienza del trasferimento genico: “In patologie complesse come questa può giocare un ruolo importante, ecco perché la messa a punto di protocolli innovativi capaci di massimizzare l’efficacia dei vettori è una delle nostre priorità”.

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